L’aquila si levò sulla città di Smederevo
nessuno volle con essa parlare,
ma il Duca Janko parlò dalla prigione
“Ti prego, aquila, scendi un po’ più in basso – perch’io parli con te:
in Dio ti ho fratello; va dai signori di Smederevo perché preghino il despota glorioso
che mi rilasci dal carcere di Smederevo;
e se Dio m’aiuta – e il despota glorioso mi rilascia dalla prigione di Smederevo,- io ti sazierò di rosso sangue turco – di bianco corpo di cavaliere”
da Rogeri de Pacienza, “Lo Balzino”
Isabella del Balzo nasce nel 1456, figlia del principe di Altamura e della duchessa di Venosa. Nel 1843 è promessa in sposa a Francesco d’Aragona, figlio primogenito del re di Napoli. Ma Francesco in breve tempo si ammala e muore, probabilmente di tisi: non riusciranno nemmeno a celebrare le nozze. Isabella viene allora maritata al fratello di Francesco, Federico, che - da secondogenito senza speranze - diventa improvvisamente il successore al trono. Nel 1496 diventa re di Napoli.
In quel momento Isabella si trova in Puglia, a Carpignano, vicino a Lecce. Il nuovo re la invita a spostarsi verso Barletta: da lì, potranno raggiungere assieme Napoli e entrare trionfalmente in città. Isabella si mette in viaggio e pianifica di arrivare a Barletta il 24 maggio del 1497. Nel frattempo però le rivolte imperversano a Napoli, e il novello re preferisce non rischiare. Isabella arriverà a Napoli solo mesi più tardi e non ci rimarrà poi molto: nel 1501 Federico fu deposto ed esiliato, e Isabella si rifugiò dai a Ferrara, dai Duchi d’Este.
Sappiamo tutte queste informazioni su Isabella grazie al cortigiano Rogeri de Pacienza. Rogeri registra minuziosamente ogni dettaglio della vita della sovrana e li trascrive in un poema agiografico, “Lo Balzino”. Rogeri era presente anche durante tutto il viaggio di Isabella fra Lecce e Barletta, e ci racconta che tra la fine di maggio e la metà di giugno del 1497 Isabella attraversò diversi paesi: Campi Salentina, San Pancrazio, Grottaglie, Taranto, Massafra, Castellaneta, Acquaviva, Bitonto, Giovinazzo, Bisceglie, Andria, dimorando in alcuni di essi, tra cui Gioia del Colle. Proprio a Gioia viene accolta da una popolazione locale, gli Schiavoni, che per celebrare il suo arrivo si esibiscono in una danza e nel canto di un poema in una lingua sconosciuta a Rogeri: una bugarštica.
Rogeri scrive che gli Schiavoni "gridavano a gran voce nella loro lingua" e che "saltavano come capre, facevano piroette e tutti insieme cantavano queste parole sconosciute". Rogeri trascrive allora ciò che sente, trasponendo la lingua sconosciuta degli Schiavoni in segni grafici quanto più vicini ai suoni che udiva.
Molti secoli dopo lo studioso Miroslav Pantić riuscì a interpretare le parole di Rogeri, riconducendole alla loro lingua originale: il serbo-croato. Gli Schiavoni infatti altro non erano che una popolazione serba (slavoni) scappata dalle invasioni turche durante il XV secolo; attraverso le coste croate erano poi giunte in Puglia, e lì si erano stabilite. Il racconto di Rogeri diventa a quel punto il più antico esempio di trascrizione di poesia epica orale serba pervenuta sino a noi. Ma di cosa parla, questa poesia?
Il “Duca Janko” altro non è che Janos Hunjadi, un nobile ungherese anche noto come Sibinjan-Janka. L'evento di cui si canta è ben noto alla storia: dopo essere tornato dalla battaglia in Kosovo nel 1448, Sibinjan-Janka fu catturato dal despota serbo Đurađ Branković. Infatti, mentre si dirigeva verso il Kosovo, Janko aveva saccheggiato la casa del despota, scontento del fatto che Branković non volesse unirsi a lui nella lotta contro i turchi. Đurađ punì Hunjadi imprigionandolo nella torre di Smederevo. La canzone cantata dagli Schiavoni riporta l’invocazione che Janko fa dalla prigione, pregando un’aquila - simbolo di potere - di intercedere per lui presso i signori di Smederevo.
Ljuba, Radoslava, Milica, Mila, Drita, Duško, Jurko, Radoslavče: questi alcuni nomi degli Schiavoni che Rogeri annota fra i danzatori che accolgono la regina Isabella. Di loro Rogeri dice che “tutti bevevano secondo le loro abitudini, sia uomini che donne, adulti e bambini". Sicuramente erano serbi, probabilmente originari proprio di Smederevo. Le loro voci sono giunte sino a noi dal 1497, e passando proprio dalla Puglia.
Guardare una fortezza dall’alto
L’abbiamo capito ormai: le fortezze saranno uno degli elementi architettonici che dominerà il paesaggio del nostro viaggio estivo. Il compagno Franco ci spiega a cosa dobbiamo fare attenzione, quando osserviamo un edificio monumentale come una fortezza.
Se sei da mobile, puoi ascoltare l’audio qui.
E quindi, sta Smederevo?
La fortezza di Smederevo fu costruita fra il 1428 e il 1439. Non è stata solo la prigione di Janko: era la sede amministrativa, militare, economica, culturale ed ecclesiastica del despota serbo Đurađ Branković. Si trova in una posizione strategica, alla confluenza del fiume Jezava con il Danubio, ed è composta da due parti: la Città Grande e la Città Piccola. La parte più significativa della Città Piccola era la Grande Sala per i ricevimenti, decorata con tre bifore gotiche e una romanica scolpite nella pietra, un esempio unico della costruzione di città medievali in Serbia.
La fortezza dismette la sua funzione difensiva nel 1459, anno di conquista della città da parte dei Turchi. Oggi la Fortezza è parte del “Circuito dei Draghi”: da qui infatti proviene Vuk Grgurević, il “fiero dragone” celebrato nella poesia epica serba come indomabile combattente e annientatore di Turchi. Oppure - se i draghi non sono di vostro gradimento - potete sempre organizzare il vostro matrimonio nella fortezza di Smederevo.
La Fortezza non è però l’unica cosa da vedere a Smederevo. Il Karađorđev dud è un albero di gelso dal grande valore storico: sotto quest’albero infatti, l'8 novembre 1805, Karađorđe - leader della prima rivolta serba - ricevette le chiavi della fortezza di Smederevo dal comandante turco della città, dizdar Muharem Guša, alla presenza di anziani e ribelli serbi. I Turchi abbandonavano pacificamente la città riconsegnandola agli abitanti, e rendendo così Smederevo capitale del rinato regno serbo.
Il primo incontro
Come da tradizione, anche quest’anno verranno organizzati alcuni incontri preparatori al cammino. Il primo di questi avverrà online, il 22 maggio. Liberate le agende!
Aprite le orecchie
Ormai siamo ovunque: nelle foto, nei video, nelle conferenze. E non solo! Il podcast “Erranti” ha ospitato Gaia e Cesare per parlare di FuoriVia, di chi siamo e di cosa facciamo. Lo trovate qui su Spotify.
A presto, a saltare come capre a Smederevo